Esiste la possibilità di guardare
ai conflitti lasciando andare le cause e i meccanismi mentali che li generano
per sviluppare le qualità del cuore? E' la teoria e la pratica che la
Mindfulness Dharma Oriented ci invita a riportare nella vita quotidiana. E' la
possibilità per tutti coloro che sono interessati e migliorare la qualità delle
loro relazioni.
Quando pensiamo al conflitto ci
riferiamo al fenomeno che si verifica quando due parti contrastanti si
incontrano generando una tensione opposta: sul piano psicologico sono conflitti
fra parti di sé antagoniste e sono i conflitti interpersonali. Come possiamo
affrontarli? Ci sono tanti modi elaborati da diverse correnti di pensiero: quello
che vogliamo esplorare in questa sede è l'applicazione dell'Amorevole
gentilezza, quale attitudine di profonda accettazione della realtà. L'amorevole
gentilezza, insieme alla compassione, alla gioia compartecipe e alla
equanimità, è una delle quattro qualità, dette incommensurabili, centrali nella
psicologia buddhista e nella Mindfulness.
Cambiare punto di vista
Di fronte a un conflitto, nella
maggior parte dei casi, il nostro sentire istintivo è che la causa sia
nell'altro o nelle circostanze avverse: ciò non è sbagliato, ma solo parziale,
in quanto essendo in un campo squisitamente relazionale non può non esserci
anche una nostra parte nel problema che ci si pone davanti. E, noi ci siamo
sotto due punti di vista: quello della responsabilità e quello del modo in cui
viviamo il conflitto stesso.
E' di questo secondo aspetto che
ci vogliamo occupare in quanto ci appare risolutivo non tanto del problema in
sé ma piuttosto nella riduzione del disagio psichico che esso può generare, ma
soprattutto nel cogliere l'opportunità che sempre la vita ci offre in contropartita
delle prove a cui ci sottopone. E, per chi è interessato ad accrescere la propria
consapevolezza, i conflitti, se utilizzati in questo senso, possono diventare una
grande opportunità.
Poniamo il caso in cui il
conflitto non sia stato generato da noi e che perciò ci appaia irrisolvibile, e
focalizziamoci invece sul nostro sentire e quindi sul modo in cui lo viviamo esplorando
la possibilità di abbandonare l'aspettativa di risolverlo. E proviamo ad
analizzare cosa accade dentro di noi. Ci accorgeremo di sentire una tensione
forte, poco sostenibile che chiede prepotentemente di essere utilizzata per risolvere
il che problema che l'ha generata. Ora questa tensione è sostenuta da un surplus
di energia che è prodotta dall'attrito che si forma fra le due parti che
confliggono (che siano due parti interne o parti di una relazione).
L'uso dell'Attrito
Infatti, come in natura, quando
due parti in contrasto si scontrano creano attrito, generando una energia tanto
più forte quanto più intenso e insolubile è il conflitto che ne è la causa.
Questa energia sarà comunque fonte di un movimento interno o esterno: sta al soggetto
scegliere quale direzione darle. Se la sua mente è fortemente condizionata dai meccanismi
automatici di difesa dell'Io-Mio, l'energia dell'attrito andrà a sostenere
reazioni automatiche, se invece si tratta di una mente più libera il soggetto
potrà scegliere comportamenti più virtuosi.
In un esempio pratico, un attacco
verbale può provocare un pungo e scatenare una rissa oppure risolversi in un
sorriso derivante da un processo di consapevolezza al centro del quale ci sono
contemporaneamente: il sentire il proprio disagio, la com-prensione delle ragioni
dell'altro e l'accettazione aperta del conflitto in atto. Nella Mindfulness
questo processo si chiama Amorevole gentilezza.
L'Amorevole gentilezza per la
liberazione della mente
L'amorevole gentilezza è una
profonda accettazione di noi stessi, dell'altro e della sofferenza di entrambi;
è non dare spazio a quella parte di noi che vorrebbe, vendicarsi, rispondere
oppure fuggire, essere consolata, cambiare la situazione: l'immagine della mente
amorevole è quella di qualcuno che nel massimo del dolore sappia aprire il
cuore ad un sorriso. E' una trasformazione radicale del nostro modo di vivere
la relazione con se stessi e con gli altri. E' una profonda crescita interiore
verso la saggezza. Non è facile attivare l'Amorevole Gentilezza, serve molta
energia; ecco allora che le situazioni di conflitto ci vengono in soccorso
fornendoci un prezioso surplus di energia che può essere utilizzato per
scardinare i meccanismi della mente e quindi per liberarla: ciò che non può
avvenire nella confort-zone, può così avvenire nel pieno della tensione se sappiamo
utilizzare l'energia dell'attrito.
Se ci pensiamo bene a volte,
inconsapevolmente, siamo proprio noi stessi a costruirci situazioni difficili,
non per stare più tranquilli ma per un impulso dell'anima a liberarsi dai condizionamenti
dell'attaccamento e dell'avversione ...
D'altra parte è esperienza comune
l'osservazione che, di fronte momenti difficili della vita alcune persone ne
sono devastate, altre rigenerate. Il punto è dunque: come fare a trasformare
l'energia dell'attrito che deriva dal conflitto per liberarci invece che per
aumentare la sofferenza di quella parte di noi che vorrebbe che quel conflitto
e quell'attrito non ci fossero?
Il processo dell'Amorevole
Gentilezza
La pratica dell'Amorevole
Gentilezza nella relazione conflittuale non è assolutamente facile in quanto
sono messe in gioco emozioni come la rabbia, la paura o la frustrazione che sono
cariche di energia reattiva, poco gestibile. Tuttavia, se prima di far scattare
la reazione automatica, riusciamo a prenderci un tempo, e se dietro al conflitto
c'è una reale intenzione di incontrare l'altro, possiamo attivare quelle azioni
introspettive che potranno sostenere il processo trasformativo.
Riportare la mente alla presenza.
In presenza di un conflitto è
facile che la mente divaghi per elencare ossessivamente e sostenere tutte le
nostre ragioni: è un enorme e inutile dispendio di energia che ci impedisce di
essere in contatto con noi stessi e con quello che proviamo. E' importante
dunque iniziare il processo introspettivo ritrovando la presenza, concentrandoci
qualche minuto sul respiro.
L'indagine.
Se siamo in contatto con noi
stessi possiamo ora provare a sentire e riconoscere l'emozione che ci abita:
“rabbia... paura... di cosa...? cosa sto difendendo...? da cosa mi sento
minacciata...?”
L'accettazione di se stessi.
Se quello che troviamo non ci
piace è bene evitare di rimanere intrappolati in un giudizio negativo sui
nostri stessi sentimenti che ci porterebbe inevitabilmente ad una fuga o ad agire
l'aggressività.
L'osservazione.
Possiamo ora rivolgere lo sguardo
verso l'altro per percepire sul piano sottile l'emozione che lo abita e le sue
ragioni, ponendo le medesime domande: “rabbia... paura... di cosa.. ? da cosa
si sta difendendo...? da cosa si sente minacciato...?”
L'accettazione dell'altro.
Prendere atto, senza giudicare,
ciò che vediamo nell'altro
La motivazione.
A questo punto dobbiamo prendere
una decisione: cosa vogliamo realmente che accada? Dobbiamo scegliere se
cercare la pacificazione, la fuga o il mantenere acceso il conflitto... Ad
aiutarci a prendere questa decisione c'è solo la direzione etica che guida il
ricercatore sincero, senza la quale questo discorso rischierebbe di essere
manipolatorio. L'obbiettivo non è “cosa mi conviene di più per sostenere
l'IO-MIO” ma è “cosa è giusto fare per servire la Verità e la Benevolenza?”
L'apertura.
Se decidiamo di perseguire la
pacificazione dobbiamo esprimere l'azione più difficile: aprirci e renderci
vulnerabili, rinunciare a difendere noi stessi per entrare in empatia con l'altro.
Per fare questo è necessaria una forza interiore, un perno che possa
sostenerci, se la nostra identità fosse troppo fragile, l'azione di apertura,
che è anche una resa, sarebbe insostenibile. Tuttavia piccoli e graduali
tentativi possono essere fatti da tutti, per saggiare fino a che punto possiamo
spingerci...
L'espressione.
E' l'atto finale che mettiamo in
campo, per rivolgerci all'altro consapevolmente, con amorevole gentilezza,
allineando la nostra motivazione con le parole che pronunceremo e le azioni che
compiremo. Non è detto che questo processo sani il conflitto, anche se ha buone
probabilità di farlo, ma avrebbe sicuramente un grande vantaggio: il conflitto
invece di produrre il suo potenziale distruttivo aiuterebbe la nostra crescita interiore
verso la liberazione dai condizionamenti della mente, e sarebbe un passo verso
l'eliminazione della sofferenza “non necessaria” in noi stessi e negli altri.
Antonella Nardone
Antonella Nardone
Vocabolario Mindfulness Dharma
Oriented
I quattro incommensurabili
(Bramaviara)
Con il termine Brahmavihāra nel
Buddhismo si indicano quattro qualità o stati mentali altamente desiderabili,
detti i quattro incommensurabili o le quattro forme del vero amore. Letteralmente
il termine significa “Dimore Divine”: nella misura in cui riusciamo a generare
in noi questi stati mentali e a stabilirci in essi, dimoriamo presso Dio, siamo
come in paradiso, ma non dopo la morte in una ipotetica vita futura, ma proprio
qui e ora mentre viviamo la nostra vita quotidiana. Come tutti gli stati
mentali anche le quattro dimore divine dipendono in ultima analisi da noi e non
dalle circostanze. Questo significa che se la nostra mente è sufficientemente
allenata possiamo imparare a generare in noi questi stati indipendentemente
dalle circostanze e anzi possiamo imparare a portarli proprio nelle situazioni
difficili della nostra vita.
Questi quattro stati mentali
sono: Mettā, Muditā, Karunā e Upekkhā.
Mettā è la gentilezza amorevole, l'amore e la benevolenza senza
discriminazione che si irradia su tutti e che desidera il bene e la felicità
dell'altra persona senza chiedere nulla in cambio.
Muditā è la gioia compartecipe, la gioia altruistica, la capacità
di partecipare alla gioia altrui, l'opposto dell'invidia. Quando accediamo a
questo stato mentale realizziamo che la felicità delle persone intorno a noi è
la nostra stessa felicità: come posso essere felice se intorno a me ci sono
persone infelici? Muditā è offrire gioia all'altra persona e considerare la
gioia altrui come la propria.
Karunā è la compassione. Compassione non è commiserare
l'altro, compatirlo, averne pietà, tutti atteggiamenti che sottendono un
giudizio, che tendono a mettere l'altro in una posizione di inferiorità
rispetto a noi, ma è la capacità di vedere e comprendere la sofferenza
dell'altro, di partecipare al dolore altrui. Karunā, che come tutti i
Brahmavihāra è una forma di amore, è la capacità di riconoscere la sofferenza
nelle persone che amiamo e la capacità e il desiderio di alleviare questa
sofferenza. Questo ci porta ad aprirci all'altro, a sentire la connessione con
lui, a renderci conto che la sofferenza accomuna tutti gli uomini, al di là
della facciata che mostrano. Se siamo nell'odio non facciamo altro che
distruggere noi stessi.
Upekkhā è l'equanimità. Il sole è equanime, risplende su
tutti senza distinzioni. La terra è equanime: è in grado di ricevere e
trasformare sia sostanze pure che sostanze contaminate. Equanimità è lasciare
andare attaccamenti, preferenze e avversioni, è la capacità di osservare fatti,
persone, situazioni ma anche pensieri, emozioni e sensazioni accogliendoli per
quello che sono, senza giudizio. Questo atteggiamento genera una mente di pace,
quieta e spaziosa e in questo spazio possiamo essere non reattivi e quindi liberi.
Equanimità non è indifferenza, è un guardare dall'alto che permette di cogliere
le distinzioni, di discernere con visione e intelligenza senza farsi guidare da
attaccamenti e avversioni.
Antonella
Nardone
Mindfulness counselor, formatore
e docente di Yoga Mindfulness, fondatore e direttore didattico
de Il filo del Sé, della FYM
Scuola di formazione insegnanti. Ha ideato, coordina ed è docente
della Scuola di Counseling Yoga
Mindfulness.
Dal 2010 è studiosa del pensiero
buddhista sia nella tradizione Mahayana che Theravada;
pratica e guida gruppi di
meditazione shamatha vipassana.
Ha elaborato un modello di
crescita interiore a mediazione corporea, che connette lo Yoga
alla Mindfulness Dharma Oriented.
www.ilfilodelse.it
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